Eccoci qui! Parlerò del libro?
No. Del film: sì.
Non ho mai letto niente di suo e
credo che comincerò proprio da oggi, dopo aver visto questo gioiellino. Un po’
insolito per il suo genere: vedi Pacific Rim, Hell Boy, Il labirinto del fauno.
Il nuovo capolavoro di Guillermo del Toro è una splendida allegoria dell’amore!
Due giorni che l’ho visto e ancora ce l’ho nel petto. Oggi vi parlo de La forma
dell’acqua.
Ero restia. Soprattutto dopo aver
visto il trailer. Insolito, strano, lento. Lo avevo giudicato ancor prima di
vederlo.
Uscendo dalla sala, invece,
sembrava quasi fossi sotto l’effetto di un incantesimo: soddisfatta, piena di
speranza, fiera. E un mix di sentimenti positivi, frutto dell’innata e poetica
fantasia della mente di questo regista e scrittore che amo. E dalla bellissima
colonna sonora, ovviamente.
Un viaggio nel tempo in una fabia
quasi grottesca, ma curata. Dove ogni singola cosa assume i toni del turchese
(turchese e non verde, mi raccomando! Capirete il perché della mia battuta,
solo dopo averlo visto). Il regista ha saputo far entrare dentro ogni mio
centimetro di anima, una bellissima metafora dell’amore che porterò sempre con
me e che sposo da quando ho cominciato a capire questo articolato sentimento.
La forma dell’acqua. Una fantastica similitudine per descrivere l’amore: che
non ha una forma unica, che si muove dove vuole, che è trasparente e che è
infinito. Come l’acqua. Un azzeccatissimo agro-dolce che passa dal romanticismo
di una bellissima storia d’amore, al macabro disprezzo della diversità, spesso
vista come una malattia e una cosa sulla quale fare ignobili sperimenti, anziché
una bella opportunità di arricchimento spirituale e culturale.
Dopo i vari tecnologici Pacific
Rim e Hell boy, del Toro, ritorna a fare poesia come aveva precedentemente
sperimentato con Il labirinto del fauno. Non a caso “The shape of water”, leone
d’oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia e ora in corsa con ben 13
nomination all’Academy, é nella sua semplicità, come lo ha definito il regista stesso”
una fiaba per tempi difficili”.
Ci troviamo nell’anonima
Baltimora degli anni ’60, in piena guerra fredda, e in uno dei laboratori del
governo degli Stati Uniti, su cui si sono posati gli occhi dei Sovietici, è
appena arrivata dal Sudamerica una stana creatura che potrebbe essere un’arma
efficace contro il nemico. Le sorti del mostro cambieranno una volta incontrata
Elisa Esposito, un’addetta alle pulizie. Una trama dunque semplice, ma
costruita con una tale maestria e una tale passione tanto da rendere questo
film un mini capolavoro.
Mi ha colpito molto la cura dei
particolari, a partire dai personaggi e del loro riscatto davanti all’insignificanza
che spesso gli viene data. Il tema della routine, della sopportazione, della
diversità, della signoria ostentata, della superficialità tagliente e della
forza che racchiude una parola così corta: amore.
Un film poliedrico, che mescola
il thriller alla componente romantica, il macabro alla commedia. Macabro? Sì,
anche. Non nascondo, che in alcuni punti mi è venuto un po’ il volta stomaco,
ma per un capolavoro così si sopporta qualunque cosa.
Insomma, se amate la poesia,
andate in sala. Non ve ne pentirete.
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